Artista che crea dal nulla, si autodefinisce Gianantonio Marino Zago, che trasforma una forma in un'altra forma ….”Ho trasformato il mouse nel pennello distorsore e i pixel  fungono da colori da distribuire sul file. Programmi semplici , non sono attratto da tecniche di collage o trasposizioni di immagini o quant'altro la tecnologia mette a disposizione per cercare effetti speciali ed avveniristici
la differenza è data poi dalla mente di chi crea, non dai mezzi per eseguirla. Sono un digitalista all’antica”.  
Tornando a dar valore a concetti come colore e segno, all’arte a grafica, al rapporto tra la materia  e lo spazio, alla significanza, le sue immagini appaiono come specchi di storia del nostro tempo da lasciare alla meditazione dei posteri. “All’età di 9 anni – dice - mi venne regalato un caleid0scopio, ora riporto in tela anche i turbamenti della vita presente. Sono i  suoi “ricordi della mente”. Attraverso i suoi colori metallici emerge un’onirica dimensione traslucida della realtà. Uno sguardo essenziale. Zago procede come un alchimista,lasciando che le immagini si creino impressionando, sviluppando,fissando, ossidando, bruciando l’immagine, cercandone le tracce, i volti anche nel mondo antico, decontestualizzando immagini e caricandole di ulteriori significati, facendo di soggetti già pregni di memorie, una memoria che resiste.
Il tempo del ricordo appare in Zago come una pellicola ormai sbiadita, fatta di ombre e nebbia,tutto sfumato, seppiato, come rintracciando anche nei segni di una classicità che porta i segni della decadenza, memorabilia dell’umano,di tutta l’umanità. Tutto è traccia per lo sguardo intensamente gettato dall’affermato artista veronese, che proviene dalla grafica pubblicitaria,  su di una condizione umana in cui la memoria permane come una in congrua presenza del vissuto: vita pur scarnificata e svuotata, che ha comunque sete, nostalgia di bellezza assoluta. Il tema della memoria appare il cuore della sua opera.
Da qui la scelta dei soggetti e, ancor più significativa, quella della tecnica con cui li rielabora:
attraverso l’uso della tecnica delle Digital Photo. Le immagini emergono fissate in un' atmosfera cristallizzata, in cui il tempo sembra essersi arrestato grazie al processo alchemico. In questo
diario dell’inquietudine, ogni oggetto,ogni foto si libera dalla banalità e si trasforma in un'immagine unica e interiore, carica di evocazioni, formando un codice di disegni e memorie da decifrare, nella cui insistita presenza,quasi come un emblema, del segno del tempo, si rincorrono, come colti ad occhi aperti, associazioni, illuminazioni, stati d’animo. Sogno e mistero si apparentano agli oggetti del quotidiano, che però fugge, ed è già memoria remota. Le ore ferme sui quadranti degli orologi sono magicamente reali, vivono,come l’arte, del respiro lungo del silenzio. Le cose comuni appaiono nella loro sublime immobilità fuori dal tempo. 
Unendo segno e colore, la luce di un pensiero getta stupore e meraviglia dell’esistente, fruga nella polvere del tempo, gratta le macchie di ruggine, mette il dito nelle crepe, nel fluire dell’esistente.  Come in “Idra”, il tempo ci afferra dalla nascita, sciupa la vita e la porta chissà dove l’arte è un essere dentro le cose, e nel ricordo il tempo permane, inattaccabile, senza essere annientato. Tutto è retaggio di solitudini,esposto alla minaccia senza tempo della consunzione. Viraggi di colore donano un effetto particolarmente straniante. L’acido puntilismo di una pioggia  gocciolante in una notte d’inverno (“La mappa del tesoro!) rimanda alla lezione sempre presente nell’artista del Dripping di Jackson Pollock. Un viaggio della  mente verso un mondo smarrito in una dimensione onirica e spaziale definita da titoli che vanno da “Ai confini dell’Eden” a “Verso l’ignoto, da “La fuga da Atlantide”, a “The World exploded”, da  “ Asterlite” a “Dream of the urban rider”. 
L’immagine trasmuta verso una nuova fisicità, iconica, reliquiaria. Lascia affiorare tutte le gradazioni dei cristalli d’argento. Il vero appartiene Al mondo di memoria,di sguardi tattili…L’artista interviene sulla fragilità dell’identità, senza contorni netti, scava penombre, con una complessità scenica,  Dal riciclante, dalla polimaterialità dei riciclo, Zago approda alla  dimensione tra astratto e informale costituita dalle foto elaborazioni dell’arte del digitale. Arte comunque polisegnica. Un surreale mondo notturno dai lividi colori in cui si alzano spettrali antenne, inquiete figure di viandanti, dall’aspetto di inquiete maschere antiche. 
 
                                                               .(Marcello Tosi)